Come si facilita il cambiamento in Analisi Transazionale

Federica

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Quando ho intrapreso il percorso personale di terapia, ho provato un senso di gratitudine nei confronti del mio terapeuta che per primo mi ha mostrato le mie capacità nel compiere delle scelte per modificare la mia vita. Credendo nell’importanza che il cambiamento, come modificazione dei comportamenti verso l’ottenimento di ciò che il paziente crede essere più adatto a sé nel qui ed ora della sua vita; come professionista, ho a mia volta fatto leva sulla parte sana di ogni paziente e sulla possibilità di ognuno di riconoscere il suo personale bisogno di ampliare o riattivare le facoltà decisionali di cui era in possesso, ma che, per un motivo o l’altro, non riusciva ad utilizzare in modo costruttivo per se stesso.
Gli autori (Goldstein, 1934; Rogers, 1951; Fromm, 1976) hanno a lungo dibattuto sul significato del cambiamento che i pazienti potevano mettere in atto durante il loro percorso psicologico. I diversi approcci hanno quindi spaziato da una concezione psicoanalitica del termine, che lo collegava ad una modificazione delle tensioni che spingevano l’organismo; fino a giungere ad una concettualizzazione prettamente umanistica che, riconoscendo il cambiamento come conseguenza dell’aumento di consapevolezza rispetto a sé in relazione con gli altri, avrebbe portato l’individuo all’autorealizzazione e quindi alla trasformazione (Galimberti, 1999).
Basandoci su questi presupposti teorici e sulle prime concettualizzazioni di Berne (1961; 1964b) in merito, si può affermare che lo scopo del lavoro terapeutico in AT sia la conquista di una comunicazione diretta tra la componente affettiva e quella cognitiva della personalità come affermato da James e Jongeward (1971). In questo modo il cambiamento può essere rappresentato come un continuum in cui corpo, pensieri, emozioni e comportamento si manifestano e si muovono costantemente, verso la riattivazione del processo trasformativo con lo scopo di raggiungere la cooperazione tra le sottostrutture psichiche dell’individuo (Cavallero, 1998; 1999) per la completa funzionalità dell’A Integrante.
Sul versante opposto, la patologia viene concettualizzata come un’interruzione del processo di cambiamento che conduce la persona alla ripetizione di comportamenti disfunzionali che egli utilizza per soddisfare i suoi bisogni, adattandosi così al suo blocco (Zinker, 1978). Solo quando il paziente comprenderà che i suoi comportamenti problematici derivano dalle vecchie relazioni e dai desideri ad esse associati, potrà essere maggiormente motivato ad allontanarsi da quei valori e quelle regole diventando più disponibile a considerare nuovi modi di essere, per aprirsi al cambiamento (Benjamin, 2003).
Berne (1964b) sosteneva che l’uomo avesse tre possibilità di apportare cambiamenti al copione: la psicoterapia, la casualità (destino) e la forza dell’amore (definita da Zenone “physis”). Quest’ultima rappresenta un sistema di tensioni interne che spinge l’individuo a evolvere creativamente verso la trasformazione tanto agognata per crescere e migliorare. L’uomo può essere, quindi, considerato come un insieme di energie dinamiche tendenti a ristabilire l’equilibrio, a diminuire le tensioni e a evitare di creare problemi a se stesso, agli altri o all’ambiente che lo circonda (Berne, 1968). Più tardi anche la Clarkson (1995) ha collegato il concetto di physis alla forza vitale presente nella guarigione, nella creatività, nell’evoluzione, come anche nella motivazione, ed ha riconosciuto ad essa la capacità di attivare e dirigere l’organismo verso una meta.
Più in generale, gli individui sono spinti verso il cambiamento: dall’insoddisfazione del comportamento, del pensiero o dei sentimenti che li animano; dal desiderio di comportarsi, pensare o percepire in modo diverso dal passato; e dalla ricerca di carezze (Woollams & Brown, 1978). Proprio quest’ultima rappresenta una delle motivazioni di base, seconda solo al bisogno dell’individuo di confermare i modelli mentali su cui fonda la sua sicurezza e in funzione dei quali si crea delle aspettative rispetto al mondo rafforzando le sue connessioni sinaptiche. È attraverso l’obbedienza che le persone ottengono carezze dai genitori e per via dell’uniformità con la quale le ricevono in famiglia, crescono con la convinzione che quei dettati psicologici siano anche quelli del mondo in senso lato (Klein, 1983). Proprio proiettando l’importanza di ricevere carezze al contesto terapeutico possiamo capirne la doppia utilità: da un lato, le carezze date dal terapeuta o dal gruppo come risposta ad un comportamento nuovo dell’individuo rappresenteranno per lui uno sprone a continuare a comportarsi in modo diverso dal suo copione, dall’altro avrà la possibilità di allontanarsi dai vecchi schemi, in quanto, se le carezze sono disponibili il paziente pur di continuare ad averne, potrebbe fare quasi tutto, persino cambiare (Woollams & Brown, 1978).
Passando alla pratica clinica, quando il paziente riuscirà a energizzare tutti e tre gli Stati dell’Io sotto il controllo dell’A Integrante, indipendentemente dalla situazione che sta vivendo, si potrà dire che egli sta cambiando (Karpman, 1971). Il cambiamento, quindi, come tendenza alla guarigione, può essere inserito in un quadro di riferimento che si mantiene e rigenera sia nel suo aspetto interno, fra gli Stati dell’Io, che esterno, inserendolo nella realtà del soggetto (Mellor, 1980).
Per quanto riguarda il mio paziente, M. attraverso la decontaminazione, ha ottenuto e sta ottenendo, non solo l’autoconsapevolezza della separazione dei diversi Sé e la loro attribuzione a sottostrutture diverse, ma allo stesso tempo si sta riappropriando di questi Sé come parti della sua personalità sotto il controllo della neopsiche (Berne, 1961). Allo scopo di facilitare il cambiamento del paziente e per avere uno stile comunicativo chiaro e condiviso da entrambi, ho esposto a M. la visione tripartita della personalità utilizzata dall’AT e da quel momento, entrambi l’abbiamo utilizzata per descrivere i suoi miglioramenti e per soffermarci, quando necessario, sul suo modo di interagire con me in studio e con l’altro, fuori dal setting protetto. M. verifica le sue idee sugli altri, permettendosi di modificare le idee stesse e gli atteggiamenti che solitamente accompagnavano tali pensieri. Dimostrandosi molto attento ai suoi processi interni, il paziente ha superato la passività, inizialmente motivo della richiesta di colloqui, in favore di agiti veri e propri, verso la risoluzione dei suoi problemi e con l’obiettivo di diventare sempre più cosciente del modo in cui si mette in rapporto con gli altri.