La diagnosi in Analisi Transazionale

Federica

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La diagnosi riguarda il riconoscimento e l’inquadramento, da parte del professionista, dei sintomi riguardanti entità nosologiche di cui sono note il decorso e l’esito (Galimberti, 2002). Nel panorama analitico transazionale essa si basa sull’analisi di quattro linee di pensiero utilizzate come mezzo di progettazione e di intervento più specifico. Questi diversi punti di vista, a cui anche io faccio riferimento per fare diagnosi, sono definiti: strutturale, funzionale, motivazionale e cognitivo emotivo-corporeo o copionale, ma nessuno di questi preso singolarmente risulta esauriente per una completa valutazione del disagio del paziente.
Il punto di vista strutturale è caratterizzato dall’analisi della struttura dei singoli stati dell’Io. Essa si basa sulla concettualizzazione che gli Stati dell’Io si sviluppino, a partire dall’evoluzione di G1, A1 e B1 contenuti in B2, man mano che i bambini ampliano le loro relazioni interpersonali ed entrano in contatto col mondo sociale. Nella condizione sana di autonomia – tra i tre stati dell’Io – è l’A2 che detiene il potere esecutivo, cioè la capacità di controllare e determinare il comportamento dell’individuo (Berne, 1961). Nella condizione opposta, la patologia risiede nell’organizzazione e nell’interazione dei sottosistemi e prende la forma della contaminazione e dell’esclusione tra esteropsiche, neopsiche e archeopsiche.
Ogni comportamento è la manifestazione di uno specifico stato dell’Io, quindi, ad ogni manifestazione esterna corrisponde la modificazione della struttura intrapsichica del paziente e viceversa. L’analisi strutturale prevede quattro modalità in base alle quali gli Stati dell’Io possono essere riconosciuti e successivamente analizzati (Berne, 1961): comportamentale, consiste nell’osservazione e nell’ascolto attento del paziente (parole, toni di voce, gesti, atteggiamenti, espressioni facciali); sociale, si avvale dell’analisi delle transazioni da lui utilizzate nel rapportarsi agli altri; storica, rintraccia nella storia del paziente i modelli da cui ha mutuato il suo comportamento attuale o l’esperienza infantile che ha prodotto quel tipo di risposta; fenomenologica, si ha quando il soggetto risperimenta il momento in cui l’esperienza è stata fatta per la prima volta con tutta l’intensità del momento (Berne, 1961). I tre organi psichici esteropsiche, neopsiche e archeopsiche sono, quindi, anche tre elementi motivazionali, che orientano il comportamento dell’individuo in modo spesso contrastante l’uno dall’altro sulla base di impulsi, bisogni e aspirazioni di origine arcaica (Cavallero, 2006).
La diagnosi che insieme ai miei supervisori, ho fatto di M., partendo da un’analisi comportamentale del paziente, è diventata sempre più dettagliata ed è passata dalla valutazione delle sue incoerenze tra il modo di pensare e i comportamenti che metteva in atto, alla dichiarazione consapevole delle influenze contrastanti di cui era stato oggetto durante la crescita e per difendersi dalle quali aveva preso le sue decisioni.
La prospettiva funzionale, anche definita del Sé e delle relazioni, sostiene l’importanza degli scambi relazionali che l’individuo intrattiene fin dalla nascita. Attraverso le posizioni esistenziali, i giochi e i ricatti, il paziente ripropone, nella sua quotidianità, sempre gli stessi modi di interagire col prossimo nel tentativo di continuare a confermare le decisioni di copione inizialmente prese. La riedizione di Stati dell’Io arcaici ha fatto in modo che le primitive relazioni si mantenessero attive a livello intrapsichico per riproporsi a livello interpersonale, per esempio rispetto al rapporto con le donne, o con l’autorità.
Le prime esperienze di ogni individuo quindi, incluso il fatto che i suoi bisogni siano stati o meno soddisfatti, hanno un ruolo decisivo nella strutturazione del suo palinsesto e a tal proposito ritengo che l’instabilità del contenimento genitoriale offerto a M. durante la crescita, in contrapposizione all’appoggio incondizionato di cui aveva goduto fino alla nascita del fratello, sia stato fondamentale. Ciò lo ha portato a scegliere di reagire in modo ambivalente agli altri sulla base della sua patologia narcisistica, come da me descritto in diagnosi.
Uno degli scopi dell’AT è quello di facilitare nella riconquista della posizione Io sono ok – Tu sei ok intesa come vissuto obbiettivo delle capacità e dei limiti propri ed altrui (Berne, 1961; Moiso & Novellino, 1982) in accordo con la concezione del doppio Okness. A volte per giustificare una posizione non ok o di svalutazione, i pazienti utilizzano il racket attraverso cui loro interpretano o manipolano il loro ambiente, se stessi e gli altri (Woollams & Brown, 1978). Questi processi non sono direttamente osservabili, ma influenzano le transazioni che avvengono con gli altri e influiscono sul modo in cui ognuno vive le proprie esperienze (Zalcman, 1994). Anche il gioco è un modo per confermare le carezze, svalutando però la realtà (Stewart & Joines, 1987); esso si basa su una serie progressiva di transazioni ulteriori, di tipo ripetitivo, rivolte ad un sentimento ben definito e prevedibile (Berne, 1964a). La maggior parte dei giochi promuovendo il mantenimento di meccanismi patologici dei giocatori che li mettono in atto, conducono alla rovina dei rapporti personali, ma li proteggono dalle conseguenze dolorose che derivano dal non sentirsi ok (Harris, 1967).
Mediante l’analisi strutturale, transazionale e dei giochi il paziente insieme al terapeuta può diventare consapevole di come si relaziona col mondo esterno preparando il terreno che, passando per la consapevolezza delle proprie dinamiche (decontaminazione), lo porti a nuove decisioni che prenderanno il posto di quelle copionali prese nel lì e allora, lontane dalla situazione di vita in cui il paziente si trova attualmente (deconfusione) (Cavallero, 2006).
Il punto di vista motivazionale consiste nell’individuare i bisogni, i desideri e le aspirazioni frustrate del paziente, che si ripresentano oggi attraverso i suoi sintomi. Viene, quindi, presa in considerazione la “fame di contatto” come spinta motivante primaria. Ogni persona ha l’esigenza di essere toccata e riconosciuta da chi le sta accanto, come ha pure il diritto di esprimere, quando ne ha la necessità, questo suo bisogno. Tali certezze unite all’incapacità di sopportare lunghi periodi di isolamento, come confermato dagli studi e dalle ricerche presentate da Spitz (citato in Berne, 1961, p. 71), hanno dato origine all’elaborazione del concetto di “fame di stimolo”. Crescendo e aumentando le esperienze di sé in contatto con l’altro, subiscono un ampliamento anche le sensazioni ambivalenti rispetto al contatto. Il paziente finisce, quindi, col ricorrere ad un compromesso che trasformerà la fame di stimolo infantile, in fame di riconoscimento (Berne, 1964b); da adulti si desidera ancora un contatto fisico, ma si tende a sostituirlo (Stewart & Joines, 1987) mediante carezze simboliche (Berne, 1964b). C’è poi la fame sessuale che può provenire dalla carenza di una qualsiasi delle altre fami, ma quando trova soddisfazione sazia anche tutte le altre. Dal bisogno che si stabiliscano situazioni in cui possano essere scambiate delle carezze, deriva la fame di struttura che, quando diventa acuta, spinge molta gente a ricorrere a giochi distruttivi per mettere a tacere la loro fame d’incidenti (Berne, 1970).
Oltre alle fami, è la physis (già approfondita a p. 62) a spingere gli uomini all’autonomia attraverso: la consapevolezza di ciò che sta loro accadendo; la spontaneità, intesa come tendenza ad agire in modo congruente con i propri pensieri; e l’intimità, come capacità di interagire con gli altri in maniera autentica (Berne, 1961).
Il quarto punto di vista è quello cognitivo emotivo-corporeo, tenendo presente questa prospettiva, il disturbo trova le sue radici nelle incongruenze e nelle strategie di adattamento che si sono irrigidite nel copione messo in atto e confermato quotidianamente dal paziente (Cavallero, 1998). La teoria del copione si basa sulla concezione che il soggetto si costruisca attraverso una storia (Tosi, 1993) e la utilizzi per cercare di mantenere immutato il proprio sistema cognitivo, emotivo e anche il proprio ambiente, che in questo modo diventa prevedibile e rassicurante (Romanini, 1987). La English (1976) sostenendo che la decisione di copione non sia bloccata nel passato, ma possa evolvere creativamente nel corso della vita, concepisce il copione come utile mezzo attraverso il quale l’individuo può dare un significato a ciò che succede nel suo contesto di appartenenza (Scilligo & De Luca, 1997). Esso rappresenta un dramma recitato compulsivamente che (James & Jongeward, 1971) solo grazie al processo di rimodellamento evita di diventare per l’individuo un limite esistenziale (Del Monte, 2007).
Credendo nella validità di tale modello diagnostico, lo utilizzo abitualmente per la comprensione delle dinamiche che ogni mio paziente mette in atto. Sulla base del contratto stipulato, mi soffermo su un punto o sull’altro, ma tenendoli comunque tutti presenti durante il percorso di sostegno, in modo da avere costantemente la possibilità di confermare e/o disconfermare le mie ipotesi iniziali. Per ottenere la diagnosi di personalità dei miei clienti ho l’abitudine di integrare, quindi, sia le intuizioni inizialmente avute rispetto ai miei pazienti, che l’analisi effettuata razionalmente mediante il mio A2 (Berne, 1962).